Pacemaker cardiaco: cos’è, a cosa serve, tipi, intervento, rischi e aspettativa di vita

Il pacemaker cardiaco è un dispositivo medico elettronico impiantabile progettato per regolare il battito cardiaco, intervenendo quando il sistema elettrico naturale del cuore non è in grado di mantenere una frequenza adeguata o un ritmo corretto.
Composto da un generatore di impulsi e da elettrocateteri, rappresenta una tecnologia salvavita essenziale per milioni di pazienti affetti da bradiaritmie o disturbi della conduzione. La sua funzione è quella di monitorare costantemente l'attività elettrica del cuore e inviare, quando necessario, stimoli elettrici che ne ripristinino la funzionalità ottimale.
A cosa serve il pacemaker?
Il pacemaker è fondamentale per il trattamento delle bradiaritmie, condizioni in cui la frequenza cardiaca è troppo lenta per garantire un adeguato flusso sanguigno a organi e tessuti. La sua azione primaria è quella di supportare la frequenza cardiaca, assicurando che il cuore batta a un ritmo che soddisfi le esigenze metaboliche dell'organismo.
La funzione del pacemaker si articola in due compiti principali:
Monitoraggio (Sensing): il dispositivo ascolta continuamente l'attività elettrica spontanea del cuore attraverso gli elettrocateteri posizionati nelle cavità cardiache (atrio o ventricolo).
Stimolazione (Pacing): se il pacemaker rileva un battito cardiaco spontaneo assente o troppo lento (bradicardia), invia un piccolo impulso elettrico (stimolo) per indurre la contrazione del muscolo cardiaco e mantenere la frequenza sopra una soglia minima predefinita.
Il dispositivo è programmabile dall'esterno, consentendo ai medici di personalizzare la frequenza di stimolazione e le modalità operative in base alle esigenze specifiche del paziente e al tipo di disturbo del ritmo.
Tipi di pacemaker
I pacemaker si classificano in base al numero di camere cardiache che stimolano:
monocamerale: utilizza un solo elettrodo, posizionato generalmente nell'atrio destro o, più comunemente, nel ventricolo destro. È indicato per aritmie che interessano una sola camera.
bicamerale: impiega due elettrodi, uno nell'atrio destro e uno nel ventricolo destro. È il tipo più comune, in quanto imita il ritmo cardiaco naturale, mantenendo la sequenza coordinata di contrazione tra atri e ventricoli (sincronia atrio-ventricolare).
tricamerale: utilizza tre elettrodi, uno nell'atrio destro, uno nel ventricolo destro e un terzo posizionato nel ventricolo sinistro. Non è un pacemaker tradizionale, ma un dispositivo utilizzato primariamente per i pazienti con insufficienza cardiaca grave e desincronia ventricolare, al fine di resincronizzare la contrazione dei due ventricoli e migliorare l'efficienza di pompaggio.
Più recentemente, sono stati introdotti i pacemaker senza fili (leadless), che vengono impiantati direttamente nella parete del ventricolo destro tramite catetere, eliminando la necessità di elettrodi tradizionali e della "tasca" chirurgica sottocutanea.
Quando è necessario
L'indicazione principale all'impianto di un pacemaker è la presenza di una bradiaritmia sintomatica, ovvero un ritmo cardiaco troppo lento che causa sintomi clinici significativi.
Le condizioni che rendono necessario l'impianto includono:
Malattia del nodo senoatriale: il nodo senoatriale, il pacemaker naturale del cuore, non funziona correttamente, causando pause cardiache prolungate (arresti sinusali) o bradicardia persistente (frequenza cardiaca lenta).
Blocchi atrio-ventricolari (AV Blocks): si verifica un'interruzione o un ritardo nella conduzione degli impulsi elettrici tra gli atri e i ventricoli. In particolare, il blocco AV di secondo grado (tipo Mobitz II) e il blocco AV di terzo grado (completo) richiedono quasi sempre l'impianto, poiché il rischio di asistolia o di frequenze cardiache estremamente basse è elevato.
Sincope neurocardiogena refrattaria: in casi rari e selezionati, se gli episodi di svenimento (sincope) dovuti a un rallentamento estremo o all'arresto del cuore (asistolia) sono frequenti e non rispondono ad altre terapie, un pacemaker può essere utilizzato per prevenire tali eventi.
Dopo ablazione del nodo AV: se il nodo atrio-ventricolare viene intenzionalmente bloccato tramite ablazione per controllare una tachiaritmia atriale (come la fibrillazione atriale) che non risponde ai farmaci, è necessario un pacemaker permanente.
I sintomi che spesso portano alla diagnosi e all'indicazione di impianto sono:
Sincope (svenimento): perdita di coscienza dovuta alla riduzione critica del flusso di sangue al cervello.
Presincope (giramenti di testa/vertigini): sensazione di svenimento imminente.
Affaticamento estremo: incapacità di svolgere attività quotidiane a causa della scarsa irrorazione sanguigna.
Dispnea (difficoltà respiratoria): soprattutto sotto sforzo.
Gli esami diagnostici
La decisione di impiantare un pacemaker non è mai immediata, ma si basa su una rigorosa serie di esami diagnostici che confermano la natura e la gravità del disturbo del ritmo.
Gli esami diagnostici principali sono:
Elettrocardiogramma (ECG) a riposo: fornisce una registrazione istantanea dell'attività elettrica del cuore. Può evidenziare bradicardia, anomalie della conduzione (come i blocchi AV) o segni di malattia del nodo senoatriale.
Monitoraggio Holter (ECG Dinamico): essendo molte aritmie intermittenti, l'Holter registra l'ECG in modo continuativo (generalmente per 24 o 48 ore) mentre il paziente svolge le normali attività quotidiane. È cruciale per documentare l'entità delle bradicardie, le pause prolungate o la correlazione tra i sintomi (es. vertigini) e gli eventi aritmici.
Ecocardiogramma: fornisce immagini strutturali del cuore e valuta la funzione di pompaggio (frazione di eiezione), lo stato delle valvole e la dimensione delle camere. È essenziale per escludere cause strutturali del disturbo e per stabilire se è necessaria una Terapia di Resincronizzazione Cardiaca (CRT) in caso di insufficienza cardiaca.
Test da sforzo: misura la risposta del cuore all'esercizio fisico. È utile per identificare la "incompetenza cronotropa," ovvero l'incapacità della frequenza cardiaca di aumentare adeguatamente sotto sforzo, un'indicazione comune per il pacemaker in pazienti attivi.
Studio elettrofisiologico: una procedura invasiva, ma non sempre necessaria. Viene eseguita per mappare in dettaglio il sistema di conduzione e provocare o confermare l'aritmia, specialmente quando la diagnosi rimane incerta dopo gli esami non invasivi.
Cosa sapere sull’intervento per mettere il pacemaker
L'impianto del pacemaker è una procedura relativamente comune e minimamente invasiva, eseguita da un cardiologo elettrofisiologo. La durata media dell'intervento è di circa 1-2 ore.
Anestesia: l'intervento è generalmente eseguito in anestesia locale (nella zona della spalla o clavicola sinistra) e sedazione leggera, mantenendo il paziente sveglio ma rilassato.
Accesso: viene praticata una piccola incisione (circa 4-5 cm) sotto la clavicola, creando una "tasca" sottocutanea.
Inserimento degli elettrodi: gli elettrocateteri vengono inseriti in una vena principale (solitamente la vena succlavia o cefalica) e guidati sotto controllo radioscopico (raggi X) attraverso il sistema venoso fino alle cavità cardiache appropriate (atrio destro e/o ventricolo destro).
Fissaggio: la punta degli elettrodi viene fissata alla parete cardiaca. Il medico esegue quindi test per assicurarsi che gli elettrodi funzionino correttamente, misurando la soglia di stimolazione e la sensibilità.
Connessione e impianto: gli elettrodi vengono collegati al generatore di impulsi (il pacemaker vero e proprio), che viene alloggiato nella tasca sottocutanea. L'incisione viene suturata.
Dopo la procedura, il paziente viene monitorato per 12-24 ore: è cruciale limitare i movimenti del braccio sul lato dell'impianto (generalmente per 24-48 ore) per evitare la dislocazione degli elettrodi. La dimissione avviene di solito entro 1-2 giorni.
Quali sono i rischi del pacemaker
Sebbene l'impianto di un pacemaker sia una procedura sicura, come ogni intervento chirurgico comporta alcuni rischi.
I rischi durante o immediatamente dopo l'intervento includono:
pneumotorace: se la puntura venosa tocca accidentalmente la pleura, può causare un collasso parziale del polmone (raro).
Perforazione cardiaca: rischio molto basso che l'elettrodo possa perforare la parete cardiaca.
Infezione: rischio di infezione della tasca chirurgica o lungo gli elettrodi (endocardite).
Emorragia: sanguinamento o formazione di un livido significativo nella zona dell'impianto.
I rischi a lungo termine sono:
Dislocazione dell'elettrodo: l'elettrodo può spostarsi dalla posizione originale, richiedendo una procedura di riposizionamento.
Guasto del dispositivo: la batteria ha una durata media di 7-10 anni e il generatore deve essere sostituito periodicamente.
Sindrome da pacemaker: una condizione, spesso reversibile con la riprogrammazione, in cui la stimolazione artificiale non è sincronizzata correttamente e causa sintomi (es. affaticamento).
Interferenze elettromagnetiche: l'esposizione a campi elettromagnetici intensi può temporaneamente influenzare il pacemaker (ad esempio, rilevatori di metalli potenti o alcune apparecchiature industriali).
L'aspettativa di vita dei portatori di pacemaker è strettamente correlata alla patologia cardiaca sottostante e alle condizioni di salute generali del paziente. In pazienti con bradiaritmie isolate e un cuore strutturalmente sano, l'aspettativa di vita non è significativamente ridotta rispetto alla popolazione generale e il pacemaker funge da salvavita.
Il dispositivo stesso non ha un impatto negativo sulla longevità, ma ne migliora drasticamente la qualità. I pazienti con insufficienza cardiaca grave o altre gravi comorbilità cardiache avranno un'aspettativa di vita correlata alla progressione di tali patologie, non al pacemaker in sé.
FAQ
Ci sono delle agevolazioni per portatori pacemaker?
Sì, i portatori di pacemaker possono beneficiare di diverse agevolazioni, a seconda del grado di compromissione cardiaca e delle normative locali. Tali benefici possono includere l'esenzione dal ticket sanitario per le visite e gli esami specialistici correlati alla patologia cardiaca e al dispositivo. Per ottenere agevolazioni specifiche, è necessario richiedere il riconoscimento di invalidità civile, presentando la documentazione medica cardiologica che attesti la condizione e la necessità del dispositivo impiantato.
Portatori di pacemaker e rinnovo patente: cosa sapere?
La patente di guida può essere rinnovata, ma con alcune limitazioni iniziali. Dopo l'impianto, è generalmente previsto un periodo di sospensione della guida (che può variare, spesso di circa 10-15 giorni) per permettere la stabilizzazione del dispositivo. Successivamente, la patente viene rinnovata con un'idoneità temporanea (spesso per 1 o 2 anni) e il portatore deve sottoporsi a controlli periodici presso la Commissione Medica Locale. La presenza del pacemaker, di per sé, non è un ostacolo permanente al rinnovo, purché la funzione cardiaca risulti stabilizzata e monitorata.
Quanto dura la convalescenza dopo l’intervento per il pacemaker?
La convalescenza post-impianto è relativamente breve. La dimissione dall'ospedale avviene di solito entro 1-2 giorni. Il recupero completo delle normali attività (eccetto lo sforzo fisico intenso) si ottiene generalmente entro una settimana. È fondamentale limitare l'uso del braccio sul lato dell'impianto per circa 4-6 settimane, evitando movimenti che sollevino il gomito sopra la spalla o sforzi eccessivi, al fine di garantire il corretto fissaggio degli elettrodi al cuore. I successivi controlli del pacemaker sono essenziali per monitorare la guarigione e l'efficacia del dispositivo.
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